Moda

AENDÖR STUDIO – Lettera dal futuro

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AENDÖR STUDIO

Siamo stati nell’atelier di Antonella e Savio, due giovani che hanno scelto Bari, e non Milano. «Perché volevamo che il nostro fosse un progetto di crescita del territorio, oltre che di noi stessi»

“Fahion is dead! La moda è morta!’’ proclamava caustico Franco Moschino descrivendo il fashion a lui contemporaneo. Quegli edonistici anni ottanta in cui il mondo della moda era sempre più orientato a soddisfare una nicchia che a raccontare le problematiche della scena contemporanea mondiale.

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Oggi più che mai le passerelle milanesi ci testimoniano come le cose non sembrano essere mutate. Per confutare quest’affermazione bisogna decentralizzarsi e porre un focus su realtà lontane dalle capitali della moda ed è così che arriviamo, ad esempio ma non per caso, a Bari. Nel capoluogo pugliese, nel cuore del quartiere umbertino, da Aendör Studio, la moda è invece viva e pulsante, va oltre i capi e diventa lifestyle. Qui il brutalismo del cemento vivo si fonde con la raffinatezza barocca dei lampadari di cristallo, le forme realistiche e sensuali delle silhouette con il minimalismo concettuale, tutto espresso nel nero come colore universale. Il lavoro di Antonella e Savio, lei designer, lui responsabile della comunicazione, coppia nella vita reale e lavorativa, ha un respiro internazionale largamente influenzato dalla loro esperienza a Berlino ma che risente anche dell’alta moda francese e, sottopelle, del ‘’calore’’ mediterraneo.

Appena entrati nello spazio si viene rapiti da una disturbante borsetta semi trasparente contenente dei capelli: «Non sono miei, sono finti. Savio mi aveva suggerito di usare i miei ma sarebbe stato troppo da megalomane», spiega scherzando Antonella. Il suo volto sembra uscito da un quadro di Vermeer incorniciato da un berretto da baseball nero e gli orecchini di perle a goccia.

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Originaria di Guardialfiera, un piccolo paesino del Molise, sogna la moda fin da quando era bambina, avendo respirato l’arte e la bellezza già in famiglia (suo nonno aveva un galleria d’arte). A Pescara studia moda e conosce Savio, originario di Bari, con il quale decide di dare una svolta alla sua vita con un biglietto di sola andata per Berlino. I primi successi arrivano nella capitale tedesca: i capi del brand (allora dal nome Antonella Mirco) sono presenti da LNFA, Bikini Berlin, Studio 184 e Syld e esprimono la scena emergente della moda berlinese. Realizzati interamente da Antonella tra coabitazioni affollate e vari lavori di styling per The Voice Germany e a teatro. L’altra svolta arriva post Covid: «All’inizio avevamo pensato di trasferirci a Milano», dice Savio, «ma poi abbiamo scelto Bari, dove anche Antonella ha dei legami, perché volevamo che il nostro fosse un progetto di crescita del territorio, oltre che di noi stessi».

Nasce così, nel 2022, lo spazio di Aendör Studio, il cui nome è ispirato dal nome dialettale molisano di Antonella con influenze tedesche (l’umlaut sulla o) francesi nella pronuncia e dal dialetto barese (ae è un dittongo molto utilizzato). Il loro stile è molto contemporaneo, total black abbastanza Berghain ma anche molto Rick Owens, Yohji Yamamoto, Balenciaga chez Demna e Ann Demeulemeester. Le loro giacche sartoriali strutturate sono il trionfo, più che dell’haute couture dell’artigianalità e della sua unicità, dal sapore, anche un po’ Dior. Ma Antonella precisa: «Un Dior ripulito. Molto ripulito».

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La coppia discrimina il green washing, è molto attenta nell’evitare lo spreco di tessuto e sogna, oltre che di aprire degli atelier in giro per il mondo per abbracciare un concetto di slow fashion, di poter, un giorno, sfilare a Parigi. Perché la moda vive ed è pulsante da Aendör Studio? Perché sfida le logiche di mercato e parla delle esigenze della società odierna:

la fluidità sessuale, il genderless, l’importanza della tutela dell’ambiente e della valorizzazione dell’individuo, dell’arte e dell’artigianalità. Sempre particolare poi il rapporto con il territorio: «Abbiamo visto Bari cambiare in positivo ogni volta che tornavamo mentre eravamo all’estero», racconta Savio, «così abbiamo deciso di tornare. Qui le possibilità ci sono ma siamo ancora schiavi del passato e degli stereotipi delle generazioni precedenti». Ma se c’è una nota dolente, Antonella centra il nocciolo del problema: «Qui viene meno lo spirito di condivisione. Ed è un problema che potrebbe essere esteso all’intero sistema italiano». Sbang. Quando è il caso di dire: dulcis in fundo.

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