Passioni

ALESSANDRO CARBONARA : “Recitare è vivere e curiosare nelle vite altrui”

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Alessandro Carbonara

Francesco Del Grosso ha intervistato l’attore barese, tra i protagonisti della serie
“Il metodo Fenoglio” e recentemente nel cast del film “Dieci minuti” di Maria Sole Tognazzi

L’agente Grandolfo nella serie “Il metodo Fenoglio” tratta dai romanzi di Gianrico Carofiglio, Giovanni nel pluripremiato show targato HBO “I May Destroy You” o il brigatista Paolo Maurizio Ferrari in “Esterno notte” del maestro Marco Bellocchio sono solo alcuni dei personaggi attraverso i quali Alessandro Carbonara ha potuto mostrare le sue indubbie qualità, a cominciare dalla grande versatilità. Contemporaneamente al lavoro attoriale porta avanti un progetto musicale che lo vede nelle vesti del frontman della band “Stasera si Busca” con il quale si esibisce sulle note di Fred Buscaglione. Muovendosi senza soluzione di continuità tra il palcoscenico, il piccolo e il grande schermo, l’attore barese ha negli anni preso parte a numerosi progetti per il teatro, la tv e il cinema. Recentemente lo abbiamo visto nel cast del nuovo film di Maria Sole Tognazzi dal titolo “Dieci minuti”. Ed è da qui che siamo partiti per poi riavvolgere il nastro alla scoperta del suo modo di vivere l’arte della recitazione.

Alessandro Carbonara in Costellazioni d'Autunno di Marco Iermanò

Che tipo di personaggio è lo Stefano di “Dieci minuti”
e che esperienza è stata lavorare in un film quasi interamente al femminile?

Il film racconta la storia di una donna che viene lasciata dal marito dopo una relazione di diciotto anni. Facendo analisi, la psicologa le suggerisce che deve mettere la testa fuori e capire che certe cose vanno provate e vissute per scoprire che l’esistenza è fatta anche di altro. Come compito deve dedicare dieci minuti a settimana a qualcosa di nuovo che fino a quel momento, per un motivo o per un altro, non ha mai fatto. Stefano, il personaggio che interpreto, è proprio uno di questi dieci minuti. Si tratta di una vecchia conoscenza della protagonista, che aveva perso di vista e con la quale si ritrova dopo diversi anni. Il loro turbolento e passionale incontro le consentirà di capire delle cose, ma lascio alla visione della pellicola di cosa si tratta. È stato bello lavorare a quest’opera e allo stesso tempo molto interessante perché era la prima volta che mi trovavo su un set quasi interamente formato da maestranze femminili, con la regista Maria Sole Tognazzi saldamento al timone di un gruppo di validissime collaboratrici. E devo dire che è stato sorprendente assistere alla rete pazzesca che sono state in grado di creare per dare forma e sostanza al progetto. Questo per ribadire quanto è importante riconoscere alle donne il ruolo che meritano nel cinema, perché sanno raggiungere dei risultati straordinari. Io mi sono affidato e lasciato completamente andare a questo flusso incredibile di energia.

E quali sono i suoi dieci minuti?

Per me sono il treno che passa una volta sola, quei dieci minuti in cui devi cogliere
al volo l’occasione che ti si pone davanti senza starci a pensare più di tanto. Sono le decisioni prese con il cuore e non con la testa. Mi è capitato soprattutto in quei momenti che necessitavo di una sferzata di aria nuova e fresca, che mi ha portato a fare quella “follia” che altrimenti per paura o giudizio non avrei mai avuto il coraggio di compiere. Quando è capitato mi si è aperto davvero un mondo e le scelte prese in quel modo hanno cambiato in maniera positiva la direzione
al mio percorso umano e professionale.

A proposito di scelte,
quando e come è maturata la decisione di fare l’attore?

Con il passare del tempo sento ancora la vera natura di questa scelta. Se partiamo. da una questione pratica allora la memoria torna a quando a diciannove anni andai a iscrivermi a un corso amatoriale per speaker radiofonici, ma cambiai immediatamente idea dopo avere assistito a una lezione di recitazione che si stava tenendo nella stessa struttura. Quella è stata la vera folgorazione, alla quale sono seguiti i primi corsi e la frequentazione di una scuola di musical, perché mi piaceva molto anche cantare. E infatti anni dopo sono entrato a fare parte di una band, ma questa è un’altra storia. Dopodiché mi sono trasferito a Roma e nonostante il tentativo non andato a buon fine di entrare al Centro Sperimentale di Cinematografia, non ho buttato la spugna e ho continuato il percorso di formazione in Italia con Gisella Burinato e all’estero, presso il Susan Batson Studio di New York. Con la consapevolezza che ho oggi posso dire che tutto è nato da un desiderio di riconoscimento, oltre che di potere vivere e curiosare nelle vite degli altri. Da piccolo adoravo guardare nelle finestre delle case e immaginare cosa accadeva tra quelle quattro mura. Probabilmente attraverso il mestiere dell’attore l’ho fatto e continuo a farlo.

Alessandro Carbonara 2 foto di Gioele Vettraino

Alla recitazione ha affiancato la passione per la musica, tanto da diventare il frontman della band “Stasera si Busca”. Come riesce a fare coesistere queste due anime artistiche?

Quando faccio musica mi sento molto a mio agio perché è diventata come una seconda pelle. L’esperienza con “Stasera si Busca” è nata un po’ per caso. La band cercava un nuovo frontman e tramite conoscenze comuni l’organizzatore è arrivato a me. Dopo una prova in studio di alcuni pezzi del repertorio di Fred Buscaglione andata bene è iniziata per me questa nuova avventura che mi sta dando tante soddisfazioni. Sono affiancato da grandi professionisti che provengono dal Conservatorio e che mi mettono nella condizione anche di improvvisare sul palco durante i concerti. Concerti che hanno sempre un discreto seguito in termini di pubblico. Per quanto mi riguarda ho fatto un lavoro sul personaggio che mi porta tutte le volte che ci esibiamo a immedesimarmi in Buscaglione e non solo a cantare i suoi brani. Quindi mi vesto come lui e in quel momento divento lui, interagendo con gli spettatori e raccontando loro storie e aneddoti del passato che lo riguardano. In questo modo riporto il pubblico agli anni in cui andava in giro per l’Italia a fare concerti.
Alessandro Carbonara 4 oto di Gioele Vettraino

Come attore cosa guida le sue scelte tanto da convincerla ad accettare un progetto piuttosto che un altro?

Di base credo che noi artisti abbiamo un compito fondamentale, ossia quello
di elevare le coscienze e sensibilizzare gli altri. L’arte in questo è insuperabile. In tal senso, se la sceneggiatura e il personaggio che mi vengono proposti tirano fuori o si fanno portatori sani di uno o più messaggi importanti, sono propenso ad accettare e felice di prendere parte al progetto. Faccio l’esempio
di un cortometraggio diretto da Marco Iermanò al quale tengo moltissimo, disponibile su Prime Video, dal titolo “Costellazioni d’autunno”, che racconta la storia d’amore tra un insegnate di fisica e una giovane chef nel corso
di quattro autunni che scandiscono le fasi della loro relazione, dall’incontro alla separazione. Si tratta di un personaggio e di un’opera che ho amato tanto, perché pieni di poesia, dolcezza ed emozioni cangianti, che mi davano anche la possibilità di approfondire temi a me cari come i rapporti e la condivisione. Laddove invece non c’è la possibilità di scelta, a quel punto sono io a cercare una chiave di lettura che mi possa agganciare e far entrare in sintonia con la storia piuttosto che con la figura che interpreto.

Con il ruolo di Grandolfo nella serie “Il metodo Fenoglio” ha avuto modo di girare a Bari e in Puglia. Com’è stato e cosa ha rappresentato per lei lavorare nella propria terra?

Prendere parte a una serie la cui storia è ambientata nella Bari degli anni Novanta, una città e un periodo che conosco molto bene perché ci sono nato e cresciuto, ha rappresentato per me tantissimo. Dunque sono stato agevolato dal fatto che mi muovevo in una realtà, in luoghi e in storie che erano dietro l’angolo e a me familiari. Girare lì dove ti rivedi e ti ritrovi negli sguardi, nei gesti e nei racconti delle persone, è stato molto bello ed emozionante. Tornare ad esempio a Bari Vecchia, laddove ho vissuto sino ai sette anni, e tornarci come una bandiera che negli anni successivi ha preso e portato in giro per l’Italia e non solo le proprie radici mi riempie e mi ha riempito di orgoglio. Vengo da una famiglia semplice che nulla a che fare con l’arte e mi dico quanto ci hai creduto e quanto ci credi per essere arrivato a fare ciò che stai facendo. È stato come un restituire alla mia città e alla terra che mi ha dato anche le motivazioni per avvicinarmi a questo lavoro un po’ di gratitudine.


Alessandro Carbonara in nella serie "Il metodo Fenoglio"

A cosa o a chi si è ispirato per costruire e portare sullo schermo in maniera così realistica il personaggio di Grandolfo?

Lavorativamente parlando, per quanto riguarda la mia preparazione generale al personaggio di turno, seguo il metodo dell’Actors Studio che mi porta a cercare dei possibili spunti e riferimenti utili alla sua costruzione. Nel caso dell’agente di polizia Grandolfo e del suo background mi sono rifatto a quello che ho osservato nel corso della mia adolescenza, pensando che fosse utile ispirarmi a figure di giovani baresi e a quella che era la loro quotidianità e il proprio progetto di vita, che il più delle volte prevedeva la ricerca di un lavoro fisso e il desiderio di tirare su famiglia, ma anche al loro spirito di rivalsa e di giustizia nei confronti di un ambiente sociale che all’epoca, gli anni Novanta, era molto difficile a causa della criminalità. Il tutto poi l’ho immesso nel processo creativo ed ecco che è venuto fuori uno sguardo autentico rispetto a quello che viene raccontato nella fiction.

A che punto della vita e della carriera pensa di essere?

Penso di essere arrivato a un punto a cui non ero ieri, quello di una piena coerenza e consapevolezza artistica e attoriale. Oggi mi sento centrato e credo che sia il momento giusto per poter affrontare dei ruoli complessi in grado di sostenere il peso dell’intero processo creativo di una sceneggiatura. Ruoli da protagonista dotati di un erto contenuto emotivo e strutturale. E poi c’è l’uomo che attraverso questo lavoro si sta conoscendo sempre di più. Ogni personaggio che mi trovo a interpretare sul set o sulle tavole di un palcoscenico mi sta regalando qualcosa. Quindi l’attore sta aiutando la persona a crescere e a scoprire tutta una serie di cose: dal non avere problemi con il mio corpo ed essere libero in tal senso a cosa mi piace e non mi piace veramente nella vita. La mia coach Gisella Burinato mi diceva sempre: «è sempre uno scambio, perché c’è sempre qualcosa che l’attore dà alla persona e la persona dà all’attore». Ed è vero.

Foto di Gioele Vettraino.

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